Antonio Carena

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C come Carena e come Cielo

L'opera d'arte cresce sui paradossi, sulle ubiquità, sulle dimostrazioni per assurdo: è il non-luogo (u-topia) per eccellenza, scena dell'apparizione e dell'apparenza. Materia dell'irrappresentabile, ossessione dell'ineffabile. Infatti Carena pensa da sempre alla specularità impossibile del mondo nella pittura, e della pittura nel mondo, di qui la vena ironica e ludica che attraversa tutta la sua produzione: dagli anni '50, contrassegnati dalla concezione cinematografica del quadro come inquadratura e dell'immagine come fotogramma, attraverso le "Radiografie di paesaggio" dei primi anni '60 e le successive "Carrozzerie" - frammenti oggettuali particolarmente intensi, anche drammatici, riflettenti ancora porzioni di paesaggio, cieli -, fino alla ripresa dell'idea del fotogramma speculare nelle "Pellicole" del '64 e alla svolta dei cieli aerografati.

Superfici celesti di estensione reale o immaginaria virtualmente infinita - dalla dimensione del quadro-finestra alle volte di palazzi storici come quelli del Castello di Rivoli o del Ministero dei Beni Culturali di Parigi -, dove le nuvole possono celare messaggi (nei primi anni '70), oppure dove la superficie stessa rivela e smentisce la propria finzione spezzandosi, frantumandosi (nella serie delle "Frantumazioni" e delle "Trance", anni '80), scoprendo le quinte di una materia terrestre degradata o modulandosi come un cielo "plastico" e ondulato di lamiera e perspex (nelle "Pelli"). Superfici celesti ritagliate per diventare cornici del vuoto (nella serie delle "Cornici") o che sembrano ritirarsi dal telaio svelando che la presunta immaterialità del cielo è sorretta da un'architettura (nella serie dei "Quadri").

Allo stesso modo anche l'impalpabilità, la vibrazione e la trasparenza del cielo aerografato su marquisette (nelle "Arie") subiscono lo scacco di un telaio che intrappola, inchioda l'evanescenza. Ancora, nel 1991, superfici celesti come collages di schegge (nei "Rivestimenti"), o come stratificazioni (nelle "Summe"), dove il cartone tagliato o spezzato e sovrapposto allude metalinguisticamente alla serialità "imperfetta" della pittura di cieli. E adesso, per Carena il mondo si rovescia: il modulo celeste si combina in una pavimentazione di estensione variabile; mediante l'illusionismo della pittura diventa possibile camminare sul cielo e la vertigine che procura questa finzione totalizzante e paradossale produce una riflessione definitiva d'ordine estetico. Il naturalismo pittorico, cioè la riproduzione del mondo sensibile, si dà solo in negativo, appunto come paradosso; cosa c'è di più irriproducibile di un cielo? Il cielo innanzitutto non esiste, nel senso che non ha materia e che il suo colore è un effetto "pittorico" della luce e delle trasparenze dell'atmosfera, non ha profondità o al contrario ne ha troppa, le nuvole che in esso si coagulano sono creature barocche, come tali costantemente metamorfiche e in movimento, eccetera.

Allora la pittura, che non può riflettere il cielo, lo pensa in termini metaforici e quindi sposta l'accento dall'oggetto della riproduzione all'atto stesso della riproduzione; partendo dalla coscienza, di matrice romantica, che la pittura e il mondo sono irriducibili l'una all'altro, insistere come fa Carena nella ripetizione del tema significa in realtà insistere sulla differenza della pittura, ovvero sull'inesausta originalità dell'evento artistico che scompagina, reinventa continuamente, portandolo nell'oltre delle sue estreme conseguenze, lo scenario fisso del concreto. II topos dell'opera è lo "spaesaggio" (spaesamento del paesaggio), tanto più che l'uso dell'aerografo raffredda la "pittura del paesaggio" nell'esplicita e distaccata simulazione del "trompe 1'oeil", salvo poi ricuperare lo specifico pittorico - la "pittoricità" - nelle frantumazioni e negli sfondamenti materici delle superfici celesti.

Ecco dunque che la "serialità", sempre,autoironica talvolta inquietante, di Carena dichiara con mente limpida - senza nube alcuna - e con gesto puntuale e sapiente, che il vero oggetto della pittura non è altro che la creazione pretestuosa di un oggetto, perché, oltretutto, Carena ha sempre pensato la pittura in termini oggettuali. E quale impresa più temeraria di trasformare il cielo in un oggetto?

febbraio '92
Andrea Balzola

 

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