La Vetrina degli Argonauti
BELLAN/GAMBARDELLA/LIONELLO/MAZZARRI
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3-12 dicembre 2010 - Sala delle Arti

Maurizio Bellan compone per moduli elementari: anelli di materia plastica, giustapposti e/o sovrapposti, talvolta alterati dalla reciproca compressione, spirali, intrecci di volute, segmenti nastriformi e matasse. Essi per loro natura contengono le potenzialità per trapassare da sottili rilievi piani al loro intrinseco sviluppo tridimensionale, in forma di sfera. La sua superficie esterna viene strutturata in forma in parte compatta, o traforata e il vuoto interno, lasciato trapelare dalle perforazioni più o meno estese e regolari, si mette in evidenza per la sua implicita e complementare natura di spazio vuoto e di nucleo energetico, intorno a cui si compongono in perfetto equilibrio le tensioni strutturanti, reciprocamente implosive ed esplosive. Il “vuoto” interno è in realtà una “bolla”, in cui si addensano gas compressi – proprio come accade nel processo di cottura - e a sua volta essa ne può contenere, inscritte, altre ancora, la cui differente composizione energetico-materica è ben evidenziata anche cromaticamente dall’uso, per stratificazioni, di terre diverse. La sfera generatrice primigenia, poi, si conserva sostanzialmente, anche se compare alterata nella sua forma, allorquando sia sottoposta alla tensione gravitazionale e sia indotta dalle energie di deformazione a trazioni per allungamento, come accade per le “lampade”.

Scorrendo a prima vista le tele di Caterina Gambardella si è indotti a constatare la loro puntuale corrispondenza con il repertorio figurativo classico – ritratto, scene figurate, paesaggio, agreste e urbano, con una sola assenza: la “natura morta” in se stessa; la lacuna, se la si vuole considerare tale, è comunque in qualche caso parzialmente risarcita. In più, quei codici tradizionali sono sottoposti ad una sapiente opera di aggiornamento: ad esempio, il genere dell’”esotismo” è ampiamente rivisitato attraverso una lettura interpretativa pienamente attualizzata. E tanto vale per i “paesaggi” urbani, le “figure in interni” e così via. Non mancano giustamente le citazioni colte, alternate all’osservazione critica della contemporaneità e alle suggestioni della mondanità. Tuttavia, le tele di Caterina si mostrano come pretesto e insieme strumento per accedere ad un’altra dimensione, per dare vita ad altre intenzioni di comunicazione. Queste emergono con urgenza dall’interiorità, tradotte in messaggi visivi affidati agli sguardi, alle tensioni compositive dei corpi e delle forme, alla attenta cura nella resa delle circostanze atmosferiche e ambientali e alla selezione della gamma cromatica e luministica. Essa trapassa da cupe tonalità a squillanti ed inquietanti incontri e infuocati scontri di colori, da gelide campiture ad esasperate stesure monocrome.

Nei dipinti di Claudio Lionello si osserva una intenzione di oggettività realistica, resa nei corpi, riprodotti con precisione di particolari abbastanza accurata; lo stesso accade per i soggetti desunti dal mondo naturale, sia sotto forma di spunti paesaggistici a sé, sia come luoghi ed atmosfere in cui sono ambientate le figure protagoniste della tela. Inoltre, il suo progetto di ricerca visiva si avvale di un campo di indagine complementare, solo apparentemente indirizzato a percorrere una via parallela di approfondimento, mediante il ricorso allo studio dell’evidenza plastico-anatomica da una prospettiva ravvicinata. Infatti, in particolare in queste tele, quello scrupoloso lavorio, di per sé tutto intento all’obiettività, lascia aperte le proprie maglie allo scandaglio della materia, nella duplice direzione della plasticità corporea e dell’essenza del fare pittorico. Entro quei margini si insinuano stati percettivi che favoriscono gli affioramenti emozionali e le intime affettività.

Acribìa si chiama la meticolosa accuratezza nell’indagine visiva e nell’esecuzione tecnica di Elio Mazzarri. Nella sua pluridecennale attività di incisore ha prediletto i piccoli formati, in cui si è prodotto nella realizzazione di ex-libris, vedute paesaggistiche e particolari naturalistici, figure umane e, perché no, animali, studi di effetti luminosi e di riflessi. Da ultimo, non sono mancate occasioni di ricerche pure, finalizzate a studiare i confini delle potenzialità espressive del mezzo tecnico, l’acquaforte e l’acquatinta, soprattutto, giungendo a sperimentare la rinuncia alle esplicite suggestioni figurative e a misurarsi, in piena sicurezza anche con formati di maggiori dimensioni. L’esercizio scrupolosissimo e sapientemente controllato della tecnica, che si fa via via sempre più raffinata, non è per Elio fine a se stesso, come semplice (e autoreferenziale) dimostrazione di bravura. Durante il tempo di realizzazione della lastra, proprio mentre si misura con le stesse difficoltà esecutive, sa ritagliarsi una dimensione interiore in cui ha modo di liberare l’energia emotiva, che a sua volta si traduce, ad opera conclusa, in nitida intenzione comunicativa ed intensità evocativa. Acribìa, certo, ma acribìa poetica.

Paolo Nesta, dicembre 2010

 

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