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Quattro pittori
si incontrano a Collegno attorno alla intrepretazione del mito argonautico.
Osserva Furio Jesi che "la capacità dell'arte di utilizzare
miti per fini non conservatori si direbbe intimamente legata alle possibilità
di ironia nell'arte: alla facoltà di utilizzare elementi compositivi
con un distacco ironico che non lede la loro vitalità".
Sarà per questo che, a parte le presumibilmente numerosissime
espressioni di arte vascolare sorte nell'antichità, l'arte moderna
è solita rinviare in argomento a due tavolette per mano del ferrarese
Ercole de' Roberti, ma non pare in grado di spingersi molto oltre. Ma
pure questa utilizzazione di "elementi compositivi" ridiviene
possibile in una moderna e ironica decostruzione dell'intreccio, attuando,
sul gigantesco affresco narrativo, una serie di prelievi di carattere,
diremmo, metonimico, cioé posti tra loro in una relazione di
contiguità logica ma contrassegnati da enormi vuoti interni,
da veri e propri black-out che spengono la continuità dimostrativa
e didascalicca dell'intreccio: l'effetto per la causa, la parte per
il tutto, l'agente per l'agito, l'astratto per il concreto. E viveversa,
beninteso.
Sembra anzi inevitabile che nei nostri quattro artisti si sia verificata
una convergenza non concordata su quel grande archetipo di intercambiabilità
tra mezzi e fini che è il viaggio, privilegiato come elemento
d'i coesione sul piano di quella espressione di ironia-metonimia che
sembra essere la via maestra di rivisitazione del mito in chiave moderna
e contemporaneamente come elemento di compatibilità tra le categorie
dello spazio e del tempo (lo spazio propriamente materiale del quadro
in rapporto allo spazio fisico della vicenda e il tempo di aggregazione
o di scontro degli apparati simbolici citati). Un alto grado di investimenti
citazionistici caratterizza l'opera di Billetto, che attualizza dentro
un energico impianto compositivo-spaziale gli strumenti materiali del
movimento e contemporaneamente li decostruisce in un àmbito di
disgregazione e di perdita della relazionalità, secondo quel
procedimento di isolamenti oggettuali, di straniamenti ambientali, che
gli è proprio. L'ordine compositivo preesiste alla narrazione
e va piuttosto cercato nella intenzionalità di una "geometria
dell'essere" entro la quale i fenomeni tentano le loro corrispondenze
e attrazioni e la descrizione dei fenomeni nella loro connessione è
tanto incongrua quanto perdente, alla stregua di quegli embrioni di
alfabeto che si ,sgretolano ai margini del quadro, citazioni svuotate
di echi di sapere che permangono come relitti, pure intonazioni.
Casorati nega, come un antico maître à penser presocratico,
l'ipotesi stessa di movimento, costruendo il viaggio dentro un labirinto
inteso contemporaneamente come ordine e come illusione geometrica pura.
Il viaggio, mentre viene proposto nella smagliante evidenza dei suoi
contorni simbolici, viene al tempo stesso revocato come fenomeno praticabile:
il labirinto, luogo archetipico della falsificazione e dello smarrimento,
è in più un falso labirinto, doppiamente chiuso, un puro
logos che ha perduto anche i presupposti potenziali di percorribilità
mistificata ma pur sempre sensibile che costituivano il labirinto come
sede di cimento reale dell'eroe: la nave, dipinta in posizione non prospettica,
è un segno paralogistico che sbarra l'accesso al falso labirinto
e la paralisi sincronica diviene qui il valore sancito in sede definitiva.
Gli elementi di fervore e di progettualità sono esaltati nel
lavoro di Comencini in un saliscendi organizzativo che è contemporaneamente
preparativo e naufragio, premessa e rinuncia. La finzione è qui
resa doppia dalla ambientazione di teatro e il gesto d'ingresso nella
rappresentazione vera e propria ci rivela che lo spettacolo cui siamo
chiamati ad assistere è sì una preparazione dello spettacolo,
ma è una preparazione ambigua che si giustifica, essa stessa,
come spettacolo e lo esaurisce: la costituzione di un luogo chiuso,
di una arsenale, entro quello spazio aperto per eccellenza che è
il mare, espone il bisogno di una dimensione protettiva resa familiare
dalla operosità nella quotidianità; l'ironia di Comencini
non è mai disgiunta da tracce di angoscia e costituisce, rispetto
a queste ultime, un elemento di autorassicurazione psicologica.
Soffiantino costruisce invece una macchina come microcosmo, macchina
infera dominata dalla potenza del drago custode e contemporaneamente
macchina eterea e spaziale che si dilata a proporzioni di macrocosmo
attraverso lo sviluppo di tensione del fasciame della nave verso la
struttura superiore dei cieli. Nella particolare strutturazione sferica
dell'opera, nòcciolo iscritto dentro il suggerimento macrocosmico,
viene dato rilievo agli elementi tenebrosi del viaggio, al carattere
degli ostacoli e delle prove rituali, alle componenti sotterranee e
magiche dell'impresa senza nascondere che l'esaltazione della componente
orrifica e affabulatoria dell'intreccio, piuttosto che a elementi di
visionarietà va riferita a sua volta all'adesione ironica a una
idea del viaggio come puro progetto, come condizione non verificabile
al di fuori del vistoso flatus didascalico che condensa il racconto
in un significante elementare. Dal viaggio come paralogismo geometrico
(Casorati), al viaggio come alibi del suo momento materialisticamente
fondante (Comencini), dal viaggio come dialettica tra microcosmo e macrocosmo
(Soffiantino), al viaggio come disseminazione di simulacri entro la
struttura spaziale vissuta come prius mentale (Billetto), si snoda questa
avventura argonautica odierna alla quale partecipano, assieme a quattro
affermati protagonisti della ricerca artistica oggi, altrettanti giovani
designati da una giuria. Li citiamo volentieri: sono le ceramiste Laura
Mazzarri e Tiziana Gay con i grafici Sergio Stefano e Maurizio Bellan.
Torino,
maggio '86
Giorgio
Luzzi
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