Re degli dei celesti dopo la vittoria su Crono, i Titani e Tifeo, Zeus è per i Greci il supremo Signore d'Olimpo; e torreggia nel mito ellenico sopra tutto il mondo divino « sublime su tutti i possenti », come nell'antichissima invocazione rituale dei poemi omerici. Questa posizione dominante non è assoluta nel culto, dove il Re degli dei finisce col passare non di rado in secondo piano di fronte alle divinità tutelari di una città o al nume di un grande santuario (ad Atene Pallade Atena, a Delfi Apollo).
Nel mito, la sovranità di Zeus è incontrastata e assoluta, per tutti i secoli della grecità fino al tramonto del mondo antico. Se il suo nome per quasi unanime consenso di linguisti e storici della religione significa dio « del cielo luminoso » in realtà Zeus è in Grecia fin dalle origini e resta oltre tutti i sincretismi fino allo spegnersi della religione antica il dio della tempesta, Signore del cielo tempestoso; « adunatore di nembi », « Signore della nuvola nera », « che si compiace del fulmine », « che gioisce della bufera », « altitonante », « dalla voce possente » come lo invocano i poemi omerici, con un formulario rituale sicuramente molto più antico d'Omero. Suoi attributi e suoi simboli sono la folgore, il lampo, il tuono, la bufera, che egli scaglia sulla terra dal suo trono sull'alta montagna quando abbatte la sua ira a punizione degli empi; e da lui scendono ora benigne ora distruggitrici neve, grandine, pioggia sulla terra. Più che alle antiche deità indoeuropee alle quali il suo nome lo ravvicina, Zeus signore d'Olimpo somiglia per questo aspetto ad antiche divinità della tempesta venerate nell'età del bronzo nel Vicino Oriente: il dio sumero-babilonese Enlil, l'assiro Adad, il dio ugaritico Baal, il supremo dio ittita Signore della tempesta. Analoga la sede, l'alta montagna, identici gli attributi, tuono e folgore e tempeste, branditi nella battaglia o gettati sulla terra a punire le empie colpe umane. Oltre queste somiglianze esteriori, o meglio fisiche, la differenza è sostanziale e profonda; così come se lo raffigurano i Greci dell'età arcaica e classica, nel canto dei poeti e nelle rappresentazioni degli artisti, Zeus Olimpio è una divinità del tutto ellenica. Dio di giustizia e di saggezza, è la più alta figura del mito e della religione greca; nel raggio sempre più vivo della risplendente civiltà ellenica, si illumina e arricchisce di sempre nuovi significati. Nella fantasia mitica greca, quel suo trono sulla montagna d'Olimpo va facendosi sempre più eccelso e lontano: i più alti e pensosi spiriti di Grecia lo hanno innalzato sublimandolo in una purificata concezione del divino. Con lui, Re dei nuovi dei, non comincia solo un nuovo regno, ha inizio un nuovo ordine divino del mondo: dal Caos è uscito fuori il cosmo, mondo regolato e ordinato da insovvertibili leggi. La vittoria di Zeus e la sua ascesa a supremo Signore del cielo ha potuto realizzarsi perchè in lui, come proclama chiaramente Esiodo nei versi della Teogonia, il valore si congiunge a saggezza ed altezza di ingegno. Destinata a durare in eterno, secondo il mito greco, la nuova èra ha inizio con la vittoria sui Titani, che nonostante l'intervento decisivo dei Centimani già nel mito esiodeo è il trionfo di Zeus. Combattente, nell'atto di irrompere verso il nemico, brandendo nel pugno la folgore contro il nemico caduto viene ancora raffigurato Zeus per secoli negli ex voto. Ancora in questo atteggiamento Zeus è rappresentato in grandi e piccoli bronzi alle soglie dell'età classica: incede nell'atto di scagliare la folgore. Ma nella grande statua del capo Artemision l'impetuosa violenza del dio è come frenata e rattenuta in severa maestà. Nell'iconografia mitica classica, quel gesto di Zeus che lancia la folgore, figurativamente espresso con l'antichissimo simbolo della doppia ascia, non ha più alcun riferimento specifico alla Titanomachia, evento decisivo per l'ascesa del Cronide al supremo potere d'Olimpo, e pure volutamente lasciato in ombra nel mito e nel culto. Zeus combattente che si scaglia verso il nemico con la folgore, maestosa figura maschia barbata nel pieno della virilità, per i Greci non è il vincitore dei Titani, è il trionfatore dei Giganti. Poiché per il mito greco non la Titanomachia che atterra e incatena antichi e venerati numi benigni all'uomo, la Gigantomachia è per eccellenza la vittoria di Zeus, la vittoria degli dei Olimpii. E poiché ogni età rispecchia nel mito ellenico qualche cosa di se stessa, col trapassar dall'età arcaica alla classica i Greci sempre più chiaramente ravvisano nella Gigantomachia il trionfo dell'Olimpo sugli ultimogeniti della Terra all'assalto del regno del cielo, la vittoria del nuovo ordine divino di giustizia e di saggezza sopra il mondo oscuro delle divine forze primigenie nate dal vuoto abisso del Caos. Al centro della battaglia, in cui sono impegnati con tutti i figli di Zeus Era sua sposa, suo fratello Posidone, talvolta sua madre Rea e le sorelle Estia e Demetra, sempre trionfa un gruppo centrale con tre figure: Zeus, Atena ed Eracle. Poiché secondo il mito la vittoria degli Olimpii e la strage dei Giganti non sarebbe possibile neppure questa volta, neppur con l'intervento del Re degli dei, che ha a fianco la divina figlia guerriera Atena, se non venisse ascoltato un responso che indica come necessario per vincere i Giganti l'intervento di un eroe mortale dalla parte degli dei a fianco dei numi. E tuttavia se si guarda oltre i dati contenutistici del mito, legato a una tradizione religiosa immutabile, il vero trionfatore dei Giganti appare Zeus, protagonista primo e figura centrale della battaglia. Nelle grandi composizioni della scultura, nelle composizioni pittoriche rispecchiate da famosi vasi attici, nelle oper e d'arte minore, al centro della battaglia in mezzo agli Olimpii impegnati in furibonde mischie contro i Giganti, sta Zeus.
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