Il viaggio degli Argonauti

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Gli Argonauti: un mito per una mostra

Un terribile drago custodiva nel bosco sacro a Ares, nella Colchide, il vello di un ariete d'oro sacrificato a Zeus; a cavallo di questo ariete avevano trovato scampo in oriente i due figli di Nefele e di Atamante, perseguitati da Ino, seconda moglie di Atamante. Alcune generazioni più tardi, in seguito a una serie di complicate vicende al centro delle quali gravitavano contese di sovranità, il giovane Giasone, che era stato educato dal centauro Chirone, rivendicando il regno di lolco e impeditone copertamente da Pelia, fu sfidato da quest'ultimo all'impari impresa: la spedizione nella Colchide per la riconquista del vello d'oro. Qui ha inizio la vera e propria leggenda degli Argonauti:

Giasone fa costruire da Argo una nave di cinquanta remi, le dà in dotazione un numero pari di eroi, tra i quali i Dioscuri, Peleo, Teseo, Orfeo e, per un tratto, lo stesso Eracle, attraversa l'Ellesponto, raggiunge la Bitinia e la Tracia, elude magicamente l'insidia delle Simplegadi (scogli mobili che velocemente stritolavano le navi all'entrata del Ponto Eusino), supera altre prove e giunge finalmente in vista della terra del vello d'oro. Qui entra in scena Medea, la bellissima figlia del re del luogo, dotata di poteri magici: innamoratasi di Giasone, lo aiuta a vincere gli ultimi ostacoli, primo fra tutti la soppressione del drago, e a impadronirsi del vello, ripartendo poi assieme all'eroe nel viaggio di ritorno alla volta dell'occidente, fino al regno di lolco dove la consegna del vello al re Pelia avrebbe dovuto sancire il passaggio di sovranità sul territorio in favore di Giasone stesso. A questo punto il mito di Giasone lascia spazio al mito di Medea, che diviene in qualche modo una narrazione indipendente da quella intorno agli Argonauti e che è a sua volta non meno nota della prima, soprattutto in virtù dei frequenti e celebri impieghi che ne verranno fatti dalla stratificazione letteraria successiva. Quanto alla conclusione del viaggio degli Argonauti, esistono differenti versioni del mito: una di esse, dovuta al poeta alessandrino Apollonio Rodio, vuole che il ritorno degli eroi sia avvenuto dall'estrema parte occidentale del mondo abitato, raggiunta risalendo l'Europa sino alle Colonne d'Ercole attraverso la navigazione parziale dei grandi fiumi, il Danubio, il Po, il Rodano.

Questa, per velocissimi tratti informativi, la vicenda: ......una fabula al solito complicatissima, di quelle, per intenderci, che gli antichi filosofi tendevano a rimuovere come emanatrici di menzogna e di superstizione; ma una fabula suadente e simbolicamente ricchissima, tanto per le implicazioni magico rituali (vero e proprio serbatoio per gli stessi poemi omerici), quanto per il passaggio da quel paralinguaggio del rituale al vero e proprio metalinguaggio del racconto mitico che, secondo Lévi Strauss, "fa un uso `forte' del discorso, ma situando le opposizioni significanti che gli sono proprie su un grado di complessità più alto di quello richiesto dalla lingua quando funziona per fini profani"; senza contare e siamo con ciò più precisamente all'interno dei valori tematici programmati in questa mostra il rivestimento fantasticamente acceso di una funzione economico sociale come quella dell'espansione del dominio: una funzione in certo modo imperialistica, definita attraverso il suo simbolo centrale come sistema arcaico di una sorta di rendita finanziaria, se è vero che il vello è oro e produce oro (da quell'elemento letteralmente "calamitante" che esso è per tutta la vicenda) e che la abilissima copertura simbolica della sua funzione non nasconde i suoi caratteri di fine sotto le prestese valenze di elemento puramente rituale e mediatore.

(continua)

 

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